Qualcuno ha scritto che la meraviglia è la base dell’adorazione. E’ vero stravero! Oggi da noi si registra un deficit vistoso di stupore. Precipita sempre più in basso il fattore sorpresa. Si accusa una overdose di noia per le cose di sempre: parole dette e ridette, scenari visti e rivisti, storielle masticate e rimasticate. Come il chewing-gum: più lo spremi, più perde sapore. Verrebbe da dire con Qohelet: “Nulla di nuovo sotto il sole”.
E invece è bastato cambiare emisfero, andare un po’ di giorni in Africa, a Mutoko, da Marilena Pesaresi, per vedere il mondo, la storia, la vita sotto l’altra metà del cielo e per provare di nuovo il brivido dello stupore e di nuovo sentire a pelle il tremito dell’adorazione. Ma già prima di fare scalo a Dubai, quando in volo dall’oblò potevo contemplare il panorama mozzafiato di un firmamento palpitante di stelle, quasi “a portata di mano”, mi sentivo salire dal cuore il canto struggente del salmista: “Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita / la luna e le stelle che Tu hai fissato /che cosa è mai l’uomo, perché di lui ti ricordi?”.
Già, nel blu assoluto di tutta la curva del cielo d’Africa non mi è difficile leggere il nome di Dio, che vi “si squaderna” (Dante) in tutta la sua regale magnificenza. Ma il salmo ottavo – che diventerà il cantus firmus della settimana in Zimbabwe, uno degli stati più ricchi di materie prime e più poveri, perché più saccheggiati del mondo – inizia con una sorta di “ohhh!” esclamato a bocca rotonda: “O Signore, Signore nostro, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra!”. Mi domando: davvero, su tutta la terra? Anche in questa terra misera e nobile, dove la specie umana avrebbe fatto la sua prima comparsa con la new entry di Lucy 3,2 milioni di anni fa? Anche in questo minuscolo angolo di mondo – Mutoko – che a prima vista sembra un condensato di miseria, di solitudine, di inesorabile abbandono, di irreversibile declino?
Eppure il salmo ottavo continua per tutta la parentesi africana a gorgogliarmi in cuore: “Davvero Tu hai fatto l’uomo poco meno di un Dio, di gloria e di onore lo hai coronato…”. E’ vero: Dio non solo ha incoronato l’uomo a viceré dell’universo, ma gli ha dato potere sulle opere delle sue mani. Dio ha generato figli, non schiavi. E dei suoi figli non teme la concorrenza, ma ne sollecita la collaborazione. Non solo perché la creazione non venga imbrattata, ma perché venga “custodita e coltivata”, anzi proseguita dal suo partner, l’uomo, che collabora con lui nel cantiere sempre aperto della creazione.
Questa verità mi viene rilanciata da tutti i volti che lungo questi giorni vado intercettando. I volti dei bambini che sgranano i profondi occhi neri e sprizzano dai pori una straripante gioia di vivere. I volti delle donne, la cui sovrana bellezza non ha mai smesso di proclamare la grandezza del nome di Dio. I volti di giovani e adulti che nella loro nobiltà dicono una capacità di resistenza ad ogni dolore, ad ogni più brutale violenza, ad ogni più bruciante sconfitta. I volti di anziani e di vecchi, che nonostante tutto continuano a brillare di speranza e di voglia di futuro. Il volto di Marilena – la fiera “leonessa” di Mutoko – con un sorriso rugato dalla stanchezza, ma pacioso e pacificato da una vita interamente vissuta con oblatività eroica, un volto grato e appagato dalla misura pigiata, scossa e traboccante di amore per tutta questa povera gente. Il volto di Massimo, un giovane che chissà quante mamme hanno sognato come sposo per le loro figlie, e che invece si è lasciato rubare il cuore da Gesù per diventarne il dentista personale, ambizioso unicamente di sentirsi dire dal Figlio di Dio in persona, nel giorno del giudizio: “Avevo dei denti rovinati o malmessi, e tu mi hai ridato il sorriso”. Il volto di Lucia, convertita dal dolore personale al dolore dei poveri, abbracciato con cuore di sorella e di madre. Il volto di Luciano Chicchi, il buon samaritano di Mutoko, volto umile e buono, scritto nella roccia al centro del villaggio, in rappresentanza dei tantissimi volontari riminesi, per non dimenticare nessuno di quanti avranno dato anche solo un bicchiere di acqua fresca ad uno di questi fratelli più poveri. Volti di fratelli bianchi e neri che hanno fatto di questa terra di dolore, sfregiata dalla violenza, un giardino fiorito della terra promessa.
Un mosaico di volti, una galleria di immagini, una piccola pinacoteca di autentici capolavori: è quanto viene riproposto nelle pagine che seguono. Davvero la bellezza è la strada privilegiata attraverso cui Dio si rivela. Certo, i capolavori sono firmati dal Creatore, ma il bello della fotografia è che ci aiuta a non seppellire volti, storie, nomi, ormai sbiaditi e remoti, nei polverosi archivi della memoria, ma a custodirli intatti, come file accuratamente protetti e incancellabili. Dunque foto parlanti – queste di Luciano Liuzzi – che non hanno bisogno di didascalie pleonastiche, di colonne sonore superflue e ingombranti. Immagini che parlano, ma senza parole. Forse le uniche parole appropriate sono quelle che vengono dal cuore, come le parole su citate del salmo 8. O quelle dell’inno alla carità di san Paolo. O quelle dello starec Zosima, ne I fratelli Karamazov di Dostoevskij:
Alcuni pensieri, specialmente alla vista del peccato umano, ti rendono perplesso, e ti domandi: “Devo ricorrere alla forza o all’umile amore?”. Decidi sempre: ricorrerò all’umile amore. Se prenderai una volta per tutte questa decisione, potrai soggiogare il mondo intero. L’amore umile infatti è una forza formidabile, la più grande di tutte, come non ce n’è un’altra.
+Francesco Lambiasi