Luisa Guidotti Mistrali

Nasce a Parma nel 1932. Si formò spiritualmente nell’Azione Cattolica modenese, dirigendo la Gioventù Femminile della propria parrocchia di San Domenico, fino a divenire consigliere diocesano dell’AC.

Ottenne la maturità scientifica e decisa a mettersi al servizio dei fratelli come missionaria, si iscrisse alla facoltà di medicina laureandosi nel 1960 e specializzandosi in radiologia nel 1962.

Nel 1957 conobbe l’Associazione Femminile Medico-Missionaria (AFMM), fondata nel 1954 da Adele Pignatelli, medico romano appartenente al Movimento dei laureati cattolici, e appoggiata da Monsignor Montini. Ne entrò a far parte e nel periodo tra il 1960 e il 1966 compì un tirocinio di formazione religiosa svoltosi tra Modena e Roma

Il 10 agosto 1966 partì per la Rhodesia, l’attuale Zimbabwe, ex colonia inglese dove nel 1965 la minoranza bianca, capeggiata da Ian Smith, aveva unilateralmente deciso di proclamare l’indipendenza dal Regno Unito.

Luisa fu inizialmente destinata all’ospedale di Chirundu, nella Rhodesia Settentrionale, oggi Zambia, successivamente all’ospedale di Salisbury, capitale della Rhodesia, e in quello di Inyanga. Nel 1969 fu assegnata definitivamente all’ospedale “All Souls” di Mutoko nella provincia del Mashonaland Orientale dove, in una realtà di estrema povertà, Luisa si dedicò a curare la popolazione e a fornirle l’essenziale istruzione sanitaria. Si recava periodicamente anche al lebbrosario di Mutema dove i pazienti erano pressoché abbandonati e nei villaggi vicini per assisterne i malati.

Negli anni, grazie al contributo di amici, riuscì ad ampliare l’ospedale costruendo edifici in muratura al posto delle preesistenti capanne, avviando una scuola per infermieri ed un orfanotrofio. Nel 1971 l’ospedale accoglieva 5600 malati e registrava 430 nascite.

Il 28 giugno 1976 Luisa Guidotti venne arrestata dalla polizia rhodesiana per aver curato un presunto guerrigliero ferito, rischiando la condanna a morte per impiccagione. Rilasciata quattro giorni dopo, in attesa del processo fu tenuta per due mesi in libertà provvisoria vicino a Salisbury, costretta quindi a lasciare il suo ospedale senza medici, affidandolo alla consorella infermiera Caterina Savini. Il fatto ebbe risalto internazionale e a seguito di forte pressioni della Santa Sede e del governo italiano  il processo si risolse con l’assoluzione. La situazione a seguito della guerra, divenne sempre più pericolosa e molti missionari furono costretti ad andarsene dal paese. Luisa Guidotti subì delle minacce ma non volle abbandonare l’ospedale All Souls e rimase, sola occidentale, insieme alle “sue” infermiere africane. Il 6 luglio 1979 dovette accompagnare con l’ambulanza una donna all’ospedale di Nyadiri per un parto difficile. Non volle essere accompagnata perché il viaggio era molto rischioso. Al ritorno fu fermata a un posto di blocco dell’esercito governativo nei pressi di Lot, un villaggio a pochi chilometri dalla missione. A causa di alcune raffiche di mitra fatte partire dai soldati, Luisa Guidotti venne ferita da un colpo che le recise un’arteria femorale. Non soccorsa tempestivamente, morì.

I funerali celebrati nella cattedrale del Sacro Cuore di Salisbury dall’arcivescovo Patrik Chakaipa, videro la partecipazione di una folla numerosa di bianchi e neri. Successivamente vennero celebrati i funerali a Roma, nella chiesa di Santa Prisca, dal cardinale Ennio Antonelli e nel duomo di Modena dall’arcivescovo Bruno Foresti. Luisa Guidotti venne sepolta nel cimitero di Fabbrico.

Nel 1983 l’ospedale All Souls di Mutoko gli venne intitolato.

Il 23 ottobre 1988 l’arcivescovo di Modena Santo Quadri dispose che la salma di Luisa fosse traslata nel Duomo di Modena e nel 1996 venne aperta la causa di beatificazione su richiesta della diocesi di Harare.